GIOACCHINO ROSA ROSA
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RAI NEWS 24 libri
Emilio D'Angelo
Se son rose… pungeranno
1 / 3 / 2011 |
I lettori non ce ne vorranno se, questa volta, ci occupiamo di un lavoro che – a prima vista – potrebbe apparire di interesse locale. La vita e il comportamento dei foggiani potrebbero interessare infatti solo ad alcuni spericolati antropologi. Sembra invece che, soprattutto negli ultimi anni, la provincia pugliese anziché importare caratteristiche esterne ad essa finisca con l’incidere in modo non trascurabile nel resto della Penisola.
Il recente esempio del successo, anche cinematografico, di Luca Medici, alias Checco Zalone, venuto da Capurso, nel barese non è isolato. Citare la genialità di Renzo Arbore, foggiano doc, sarebbe troppo semplice. Su internet nelle ultime settimane ha raccolto interesse e anche molti contatti l’Appartamento foggiano, una sorta di ‘Grande Fratello’ per il canale You tube. Tre ragazzi che navigano su internet, commentano le notizie e guardano la tv. Tre inquilini che parlano naturalmente in foggiano e alla porta e al citofono, aprono a tutti. E anche Michele Placido, nativo della vicina Ascoli Satriano, nel film ‘Manuale d’amore 3’ di Veronesi, dove impersona il papà della Bellucci, fa parlare al suo personaggio un dialetto che di foggiano ha molto. Così come fa ormai sempre Pino Campagna o Nicola Rignanese spalla praticamente fissa di Antonio Albanese anche in ‘Qualunquemente’. O Valeria di Napoli, scrittrice foggiana ora anche sceneggiatrice, più nota nota come Pulsatilla. Nel suo primo fortunato libro scrisse un intero capitolo dedicato alla città e ai suoi ‘strani’ abitanti.
Insomma era quasi nelle cose. E nelle persone. Avendo frequentato gli stessi luoghi e ascoltato la stessa musica di Renzo Arbore e Gegè Telesforo, Gioacchino Rosa Rosa a scrivere sulla città e sui suoi abitanti era quasi condannato dal destino. Si scopre così leggendo il suo ‘Se son rose… pungeranno – Benvenuti a Foggia, città defoggianizzata’ che colui che su quel suol vi è nato, o vi ha intensamente vissuto (caso Zeman) potrebbe essere diventato un soggetto unico al mondo.
Conosco Gioacchino da un po’ di anni. Mi viene spontaneo collocarlo mentalmente nella cordata filosofica di Renzo Arbore. Tra coloro, insomma, che a Foggia definiscono persone ‘con la capa fresca’. Tra la città pugliese e Napoli i legami storici, culturali e persino gastronomici sono tantissimi. Più di quanto non ce ne siano tra Foggia e Bari, per esempio. Forse anche per questo buona parte degli episodi ricordano molto anche quella vita spassosa di Napoli che prima il teatro e infine Luciano De Crescenzo hanno provato più volte a descrivere nei dettagli. Gli episodi avvenuti al Bar Ruocco, noto esercizio commerciale del centro foggiano, e raccontati da Gioacchino non sono fantasia. Sono ambientazioni realistiche e spontanee dalle quali registi e narratori troverebbero linfa vitale per le proprie produzioni. Provare per credere.
Con l’ironia che contraddistingue il suo lavoro ma con altrettanta serietà Gioacchino Rosa Rosa ci racconta chi sono i foggiani: “Il DNA del foggiano - afferma Rosa Rosa - si è formato durante millenni di ripetute dominazioni ed è frutto di un raro incrocio di genti e culture assai diverse tra loro. Non esiste insomma un aborigeno locale che si è evoluto nel tempo ma una incredibile accozzaglia di diversità con un comune denominatore: la filosofia foggiana. Che si può riassumere in ‘i foggiani non sanno fare, non vogliono fare e soprattutto non vogliono far fare perché il confronto evidenzierebbe ancora di più i propri limiti. Nello stesso tempo qualsiasi foggiano che si allontana dalla propria città dimostra di avere doti da leader e capacità professionali o artistiche fuori dal comune. E’ un fenomeno che andrebbe studiato a fondo”.
E’ inutile, scrive Gioacchino Rosa Rosa nel suo libro, “contro un foggiano ce la può fare solo un foggiano”. E’ come se la città - che nelle classifiche di qualità della vita è sempre agli ultimi posti - riuscisse inconsapevolmente a forgiare i suoi abitanti ad affrontare meglio la giungla della società. Da ultimi, in sostanza, si può solo risalire.
Gioacchino è un tipo scherzoso ma su certi argomenti non è tenero. Oppure, quando gli ho fatto le domande era di pessimo umore…
“Foggia è il festival delle pezze a colori. Non c’è una visione d’insieme, non c’è programmazione, tutto viene fatto con approssimazione spendendo più del dovuto. Si è entrati in un vortice dal quale non si esce”.
C’è un aspetto che evidenzi e che, francamente, mi ha colpito. Racconti che i foggiani fanno ‘la faccia sdegnata’ e hanno anche dei modi sdegnati. Pensandoci bene, rispetto alle altre città, è vero. A cosa è dovuto secondo te?
“E’ scritto chiaramente nel libro. E’un’autodifesa. Se ti dimostri sorridente e arrendevole sei facilmente preda di gente che ti chiede favori o approfitta di te. Se sei sempre incazzato (o ti mostri tale) tieni alla larga i seccatori che quindi preferiscono dirigersi verso persone più ‘arrendevoli’ “.
Allora se uno non nasce o vive a Foggia, si perde qualcosa nella vita…
“Si, si perde la possibilità di migliorare, perché più a fondo di dove siamo ora non si può andare”.
Che amarezza! Ma i foggiani avranno pure qualcosa che manca al resto d’Italia o del mondo…
“L’indolenza, gli scagliozzi (fettine di polenta vendute in friggitoria n.d.a.), l’uso dell’ …aeouu come forma di saluto e di disappunto, il cazzimarro (versione extralarge dei torcinelli n.d.a.), la capacità di aver perso le tracce del palazzo di Federico II di Svevia e non solo di quello”.
Nel tuo libro scrivi che “a Foggia qualsiasi cosa fai sbagli. E per questo il foggiano tende all’immobilismo totale”. Secondo te, i foggiani lo sanno (nel senso che qualcuno glielo dice) o lo sentono dentro di loro?
“Se lo sentono dentro perché non credono nelle proprie possibilità e soprattutto non credono che valga la pena di far qualcosa se questo qualcosa potrebbe gratuitamente avvantaggiare anche altri. Gli roderebbe moltissimo fare qualcosa per gli altri perché sono convinti che nessuno farebbe qualcosa per loro. Si sentirebbero del fessi”.
Vabbè Gioacchino, visto che sono foggiano anch’io, che facciamo, continuiamo? Se la mettiamo così, ‘avast’.
(Emilio d’Angelo)
Emilio D'Angelo
Se son rose… pungeranno
1 / 3 / 2011 |
I lettori non ce ne vorranno se, questa volta, ci occupiamo di un lavoro che – a prima vista – potrebbe apparire di interesse locale. La vita e il comportamento dei foggiani potrebbero interessare infatti solo ad alcuni spericolati antropologi. Sembra invece che, soprattutto negli ultimi anni, la provincia pugliese anziché importare caratteristiche esterne ad essa finisca con l’incidere in modo non trascurabile nel resto della Penisola.
Il recente esempio del successo, anche cinematografico, di Luca Medici, alias Checco Zalone, venuto da Capurso, nel barese non è isolato. Citare la genialità di Renzo Arbore, foggiano doc, sarebbe troppo semplice. Su internet nelle ultime settimane ha raccolto interesse e anche molti contatti l’Appartamento foggiano, una sorta di ‘Grande Fratello’ per il canale You tube. Tre ragazzi che navigano su internet, commentano le notizie e guardano la tv. Tre inquilini che parlano naturalmente in foggiano e alla porta e al citofono, aprono a tutti. E anche Michele Placido, nativo della vicina Ascoli Satriano, nel film ‘Manuale d’amore 3’ di Veronesi, dove impersona il papà della Bellucci, fa parlare al suo personaggio un dialetto che di foggiano ha molto. Così come fa ormai sempre Pino Campagna o Nicola Rignanese spalla praticamente fissa di Antonio Albanese anche in ‘Qualunquemente’. O Valeria di Napoli, scrittrice foggiana ora anche sceneggiatrice, più nota nota come Pulsatilla. Nel suo primo fortunato libro scrisse un intero capitolo dedicato alla città e ai suoi ‘strani’ abitanti.
Insomma era quasi nelle cose. E nelle persone. Avendo frequentato gli stessi luoghi e ascoltato la stessa musica di Renzo Arbore e Gegè Telesforo, Gioacchino Rosa Rosa a scrivere sulla città e sui suoi abitanti era quasi condannato dal destino. Si scopre così leggendo il suo ‘Se son rose… pungeranno – Benvenuti a Foggia, città defoggianizzata’ che colui che su quel suol vi è nato, o vi ha intensamente vissuto (caso Zeman) potrebbe essere diventato un soggetto unico al mondo.
Conosco Gioacchino da un po’ di anni. Mi viene spontaneo collocarlo mentalmente nella cordata filosofica di Renzo Arbore. Tra coloro, insomma, che a Foggia definiscono persone ‘con la capa fresca’. Tra la città pugliese e Napoli i legami storici, culturali e persino gastronomici sono tantissimi. Più di quanto non ce ne siano tra Foggia e Bari, per esempio. Forse anche per questo buona parte degli episodi ricordano molto anche quella vita spassosa di Napoli che prima il teatro e infine Luciano De Crescenzo hanno provato più volte a descrivere nei dettagli. Gli episodi avvenuti al Bar Ruocco, noto esercizio commerciale del centro foggiano, e raccontati da Gioacchino non sono fantasia. Sono ambientazioni realistiche e spontanee dalle quali registi e narratori troverebbero linfa vitale per le proprie produzioni. Provare per credere.
Con l’ironia che contraddistingue il suo lavoro ma con altrettanta serietà Gioacchino Rosa Rosa ci racconta chi sono i foggiani: “Il DNA del foggiano - afferma Rosa Rosa - si è formato durante millenni di ripetute dominazioni ed è frutto di un raro incrocio di genti e culture assai diverse tra loro. Non esiste insomma un aborigeno locale che si è evoluto nel tempo ma una incredibile accozzaglia di diversità con un comune denominatore: la filosofia foggiana. Che si può riassumere in ‘i foggiani non sanno fare, non vogliono fare e soprattutto non vogliono far fare perché il confronto evidenzierebbe ancora di più i propri limiti. Nello stesso tempo qualsiasi foggiano che si allontana dalla propria città dimostra di avere doti da leader e capacità professionali o artistiche fuori dal comune. E’ un fenomeno che andrebbe studiato a fondo”.
E’ inutile, scrive Gioacchino Rosa Rosa nel suo libro, “contro un foggiano ce la può fare solo un foggiano”. E’ come se la città - che nelle classifiche di qualità della vita è sempre agli ultimi posti - riuscisse inconsapevolmente a forgiare i suoi abitanti ad affrontare meglio la giungla della società. Da ultimi, in sostanza, si può solo risalire.
Gioacchino è un tipo scherzoso ma su certi argomenti non è tenero. Oppure, quando gli ho fatto le domande era di pessimo umore…
“Foggia è il festival delle pezze a colori. Non c’è una visione d’insieme, non c’è programmazione, tutto viene fatto con approssimazione spendendo più del dovuto. Si è entrati in un vortice dal quale non si esce”.
C’è un aspetto che evidenzi e che, francamente, mi ha colpito. Racconti che i foggiani fanno ‘la faccia sdegnata’ e hanno anche dei modi sdegnati. Pensandoci bene, rispetto alle altre città, è vero. A cosa è dovuto secondo te?
“E’ scritto chiaramente nel libro. E’un’autodifesa. Se ti dimostri sorridente e arrendevole sei facilmente preda di gente che ti chiede favori o approfitta di te. Se sei sempre incazzato (o ti mostri tale) tieni alla larga i seccatori che quindi preferiscono dirigersi verso persone più ‘arrendevoli’ “.
Allora se uno non nasce o vive a Foggia, si perde qualcosa nella vita…
“Si, si perde la possibilità di migliorare, perché più a fondo di dove siamo ora non si può andare”.
Che amarezza! Ma i foggiani avranno pure qualcosa che manca al resto d’Italia o del mondo…
“L’indolenza, gli scagliozzi (fettine di polenta vendute in friggitoria n.d.a.), l’uso dell’ …aeouu come forma di saluto e di disappunto, il cazzimarro (versione extralarge dei torcinelli n.d.a.), la capacità di aver perso le tracce del palazzo di Federico II di Svevia e non solo di quello”.
Nel tuo libro scrivi che “a Foggia qualsiasi cosa fai sbagli. E per questo il foggiano tende all’immobilismo totale”. Secondo te, i foggiani lo sanno (nel senso che qualcuno glielo dice) o lo sentono dentro di loro?
“Se lo sentono dentro perché non credono nelle proprie possibilità e soprattutto non credono che valga la pena di far qualcosa se questo qualcosa potrebbe gratuitamente avvantaggiare anche altri. Gli roderebbe moltissimo fare qualcosa per gli altri perché sono convinti che nessuno farebbe qualcosa per loro. Si sentirebbero del fessi”.
Vabbè Gioacchino, visto che sono foggiano anch’io, che facciamo, continuiamo? Se la mettiamo così, ‘avast’.
(Emilio d’Angelo)
RAP-Presentazione al Teatro dei Limoni
Presentazione da UBIK
Presentazione Rotary in Fiera (consegna del Premio... "Strega")
Presentazione Liceo Classico Lanza
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